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Slan Hunter Page 6
Slan Hunter Read online
Page 6
Lui e Kathleen corsero lungo il corridoio e trovarono una porta di uscita da cui si accedeva a una rampa di ripide scale metalliche. Jommy contò i piani, guardò i numeri dipinti sulle porte antincendio e si fermò quattro piani più in basso. Circospetti, sporsero il capo nel vano della porta e non videro nessuno. Un'unica luce tremula indicava la stazione del trasporto interno. Jommy premette il pulsante di chiamata per fare arrivare la rapida vettura ovale usata per portare avanti e indietro la gente in tutto l'immenso palazzo. Alcuni minuti dopo udirono un ronzio e un veicolo ovoidale bianco avanzò verso di loro su rotaie magnetiche.
Dopo che lo sportello si fu aperto con un sibilo, Jommy e Kathleen salirono a bordo, inserirono i dati della destinazione voluta e si misero comodi mentre la vettura ad alta velocità partiva come una saetta. I due rimasero seduti vicini per qualche attimo di intimità in cui potevano sentirsi al sicuro, in cui potevano semplicemente stare insieme. Jommy sapeva che avrebbero dovuto approfittare di quel momento per preparare piani, per discutere di cosa avrebbero fatto una volta trovato e liberato il presidente.
D'altro canto lui desiderava solo stare con Kathleen adesso che si erano ri-trovati. Purtroppo la vettura veloce giunse alla stazione richiesta fin troppo presto, concedendo a malapena ai due il tempo di rifiatare.
Il mezzo di trasporto si arrestò e lo sportello scorrevole si aprì. «Non è lontano, adesso» disse Kathleen.
«Speriamo che la fortuna continui ad assisterci. Lo libereremo, presto.»
Jommy non sapeva ancora come sarebbero riusciti nell'impresa.
Le prese la mano e balzarono giù dal veicolo. Jommy si aspettava in parte di trovare ad accoglierli un gruppo di agenti della polizia segreta con le armi spianate. Un uomo in effetti attraversò di corsa il corridoio spaven-tandoli, ma si precipitò in una stanza, sbatté la porta, dopodiché si sentì lo scatto della serratura. Non videro nessun altro.
Salite altre due rampe di scale, sbucarono in un complesso di uffici cu-bici. C'erano persone chine su massicci telefoni neri, persone che battevano a macchina, altre che si scambiavano frettolosamente rapporti e documenti. Nessuno degli addetti prestò attenzione a Jommy e Kathleen. I due oltrepassarono svelti i cubicoli, aprirono un'altra porta doppia e videro di fronte a sé un lungo corridoio diritto.
Kathleen si fermò. «Questo conduce all'area detentiva di massima sicurezza. Mio padre è là.» Il simbolo del martello e della ragnatela della polizia segreta spiccava sulla parete.
Delle luci intense sul soffitto conferivano al lungo corridoio un'aria aset-tica. Sei porte metalliche nei muri di blocchi di calcestruzzo verniciato erano ermeticamente chiuse. Celle d'isolamento? Camere di tortura? Sarebbero stati incredibilmente allo scoperto percorrendo quel lungo corridoio.
Jommy riesaminò le mappe imparate a memoria, ma non riuscì a individuare un percorso alternativo per raggiungere la loro destinazione. «Pare proprio che dobbiamo passare sotto il giogo.»
Mentre si lanciavano nell'interminabile corridoio deserto, era sicuro che delle telecamere li stessero osservando. Ormai John Petty doveva essere stato informato della loro evasione e avrebbe fatto setacciare l'intero palazzo. Secondo Jommy, neppure l'attacco dei senzantenne avrebbe distolto il cacciatore di slan dalla loro cattura.
Quando giunsero a metà del lungo corridoio, lontani da qualsiasi nascondiglio, la doppia porta all'estremità cominciò ad aprirsi. Jommy e Kathleen si gettarono contro una delle porte metalliche rientranti. Jommy provò a girare il pomello perché potessero buttarsi all'interno e nascondersi, ma la porta era chiusa a chiave. Anche usando la forza slan non riuscì a forzare la serratura.
All'estremità del corridoio tre uomini che indossavano l'uniforme della polizia segreta varcarono la soglia. Tutti e tre erano armati di pistole di grosso calibro. Jommy e Kathleen si appiattirono nella piccola rientranza del vano della porta, sapendo che non potevano assolutamente passare inosservati. Erano in trappola, allo scoperto. Le guardie li avrebbero scorti da un istante all'altro.
«Dobbiamo fare in modo che non ci vedano» disse Kathleen in un rapido sussurro che era poco più che un sibilo. Poi chiuse gli occhi e si concentrò. "Non vedeteci. Voi non ci vedete."
Con le antenne, Jommy colse subito cosa Kathleen stesse cercando di fa-re. Avrebbe preferito usare uno dei suoi cristalli ipnotici per potenziare l'emissione delle antenne, ma aveva perso l'ultimo su Marte. Lui e Kathleen avrebbero dovuto servirsi invece congiuntamente dei loro poteri per trasmettere una suggestione mimetica. Unì i propri pensieri a quelli della ragazza. "Voi non ci vedete. Non vedeteci."
Gli uomini della polizia segreta percorsero il corridoio a passo spedito, presi dalla loro missione, discutendo animatamente della crisi. "Voi non ci vedete..."
I tre uomini li superarono, lo sguardo fisso di fronte a sé, senza prendersi la briga di guardarsi attorno. Passarono a nemmeno un metro da Kathleen la cui concentrazione era assoluta. Le antenne slan dietro il capo di Jommy ondeggiavano leggermente, mentre lui continuava a inviare i propri pensieri. Gli uomini armati raggiunsero l'estremità opposta del corridoio senza voltarsi indietro, poi uscirono in un'altra parte del palazzo.
Kathleen emise un lungo sospiro di sollievo. Jommy si rese conto di stare tremando per la tensione. Scosse la testa meravigliato, quindi le prese di nuovo la mano. «Bene, la parte facile è finita adesso.» Corsero all'estremità del lungo corridoio raggiungendo la porta del settore di massima sicurezza dov'era imprigionato Kier Gray.
«Non abbiamo nessun travestimento e nessuna arma» disse Kathleen.
«C'incammineremo semplicemente nella zona della polizia segreta?»
«Intendevo muovermi più in fretta che camminare.» Jommy sapeva che le loro probabilità di successo erano scarse, ed era certo che si sarebbero ancor più ridotte a partire da quel punto. «Quest'ultimo trucchetto ha funzionato benissimo, e loro sono occupatissimi ora come ora. Non riesco neppure a immaginare cosa stia succedendo fuori nelle strade.»
«Va bene, trasmetterò pensieri tranquillizzanti. Non permettiamo che si insospettiscano. Dobbiamo avvicinarci a mio padre abbastanza da poterli affrontare. Una volta aperta la porta della cella, lui potrà aiutarci a lottare.»
«Ci conto» disse Jommy.
Scattarono in avanti facendosi coraggio. La maggior parte delle camere di sicurezza erano vuote. Nessun prigioniero tendeva mani imploranti attraverso le sbarre invocando di essere liberato durante l'attacco dei senzantenne. Più avanti a sinistra due guardie e un messaggero dall'aria scialba erano in attesa di fronte a una cella chiusa. Tutti e tre erano armati di pistole dalla canna tozza.
«Quello dev'essere il posto giusto» disse Kathleen.
Lei e Jommy avanzarono a passo di marcia, risoluti. Jommy si concentrò sui propri pensieri. "La nostra presenza qui è del tutto normale. Non siate sospettosi. Non date l'allarme. Non siamo una minaccia per voi. Non c'è nulla di cui preoccuparsi."
Le guardie lanciarono un'occhiata nella loro direzione, poi distolsero lo sguardo, disinteressandosi apparentemente dei due. Il mite messaggero parve perplesso, confuso dalla situazione.
"Non c'è nulla di cui preoccuparsi. La nostra presenza qui è del tutto normale."
Mentre Jommy e Kathleen si avvicinavano, le guardie si scambiarono di nuovo un'occhiata e sulle loro labbra cominciarono a prendere forma delle domande. Espressioni preoccupate spuntavano lentamente sui loro volti. Il trucco non funzionava più!
Sapendo che stavano perdendo il controllo, Jommy e Kathleen scattarono nel medesimo istante con tutta la velocità di cui erano capaci. Jommy afferrò la pistola della prima guardia e sparò al secondo sgherro mentre Kathleen deviava il braccio del magro messaggero. Dato che le mani di co-stui erano già bagnate di sudore nervoso, la pistola gli scivolò dalle dita e cadde sul pavimento.
Gray tese le braccia attraverso le sbarre della cella. «Kathleen! Jommy!
Non dovreste essere qui. Vi cattureranno!»
«No, signore, la libereremo» disse Jommy.
Kathleen raccolse dal pavimento la pistola del messaggero e la puntò contro i due superstiti
. «Allontanati dalle sbarre.»
Jommy trovò i comandi e aprì la porta della cella. Senza fiato per il sollievo e con un'espressione cupa per la gravità della situazione, Kier Gray uscì barcollando nel corridoio. «Petty ha assunto il controllo del governo, ma non ha la minima idea di cosa si trova ad affrontare. Non abbiamo tempo da perdere.»
Prima che potessero andarsene, però, quattro guardie in uniforme spa-lancarono la porta da cui Jommy e Kathleen erano entrati. All'estremità opposta dell'ala di massima sicurezza, un altro gruppo di agenti della polizia segreta guidato da John Petty in persona fece irruzione. Una trappola!
Kathleen strinse la pistola e la tenne puntata contro i due uomini che avevano disarmato. Poi la puntò verso le guardie che stavano arrivando.
«Non sparare, Kathleen» le intimò Jommy. Da entrambi i lati, la polizia segreta stava avvicinandosi.
Le spalle di Gray si afflosciarono. Il cacciatore di slan avanzò. «Bene, bene, guardate i due pesci che ho preso nella mia rete!» Osservò la guardia morta, uccisa da Jommy. «A quanto pare sto perdendo un sacco di guardie, oggi.»
Petty disarmò personalmente Kathleen. Il mite messaggero aveva un'aria afflitta e imbarazzata, mentre l'altro sgherro di guardia alla cella sembrava impacciato per essersi fatto gabbare.
Il cacciatore di slan scosse il capo. «Abbiamo seguito fin dall'inizio questo penoso tentativo di evasione. Dopo che una delle mie guardie per poco non mi ha sparato, pensavate davvero che non tenessi questa cella sotto sorveglianza? Potreste avere spie dappertutto.»
«Allora perché hai tardato tanto a intervenire?» chiese Jommy.
«L'ho trovato divertente, ma l'urgenza del momento mi ha costretto ad agire. Ho bisogno dei tuoi codici di accesso e della tua conoscenza del comando, presidente.»
Gray si drizzò. «Dunque mi credi finalmente riguardo alla portata della crisi attuale? Quanto è profonda l'infiltrazione dei senzantenne?»
Petty dava l'impressione di avere appena inghiottito un limone intero.
«Non mi fido di te, Gray, come non mi fido di questi altri due sporchi slan.
Ma non ho scelta al momento.» Rivolse un cenno alle guardie. «Portate tutti e tre al centro di comando e controllo. Anche con tutte le risorse della polizia segreta posso distruggere solo un nemico alla volta.»
9
Nonostante le astronavi nemiche continuassero a sganciare le loro bombe su tutta la città, gli sciacalli erano già al lavoro. Non si sarebbero lasciati sfuggire un'occasione così ghiotta.
Chinandosi istintivamente per ripararsi dallo spostamento d'aria delle esplosioni e dalle piogge di polvere e detriti, Anthea corse lungo gli edifici squassati in cerca di un posto che potesse offrire riparo a lei e al bambino.
Indossava ancora soltanto la camicia ospedaliera, l'ampio impermeabile e le scarpe troppo grandi che aveva rubato nello studio del dottore.
In un quartiere commerciale di fascia alta trovò diversi grandi magazzini con le vetrine sfondate, mattoni e pietre caduti sul marciapiede. Prima di allora Anthea non aveva mai rubato nulla in vita sua, ma erano cambiate molte cose. Stringendo al petto il figlio, passò con estrema cautela sulle macerie e si avventurò in un emporio.
Un giovanotto apparve all'improvviso di fronte a lei. Aveva denti guasti, capelli neri crespi e la faccia tutta impolverata. «Questo è il mio negozio!
Non ti venga in mente di venire a rubare qua dentro!» Indossava abiti troppo larghi: una nuova e costosa giacca di pelle, calzoni di un completo, una camicia da cerimonia. Anthea notò i cartellini del prezzo ancora attaccati agli indumenti. Il giovane drizzò le spalle e si piegò verso di lei, quasi volesse spaventarla e scacciarla con l'alito cattivo. «La polizia ha l'ordine di sparare agli sciacalli.»
«Ho solo bisogno di qualche indumento. Non voglio nient'altro.»
«Rubali da qualche altra parte, gli indumenti. Non prendere i miei. Questa roba è tutta mia!»
Ricordando come avesse sistemato con un unico calcio l'autista dell'ambulanza che era finito sul cofano sfondando il parabrezza, Anthea sapeva di poter domare facilmente quel farabutto arrogante. Ma non voleva attirare l'attenzione su di sé, e aveva paura di quello che avrebbe potuto fargli.
«Andrò da qualche altra parte, allora.»
«Questo è certo.» Il giovanotto gonfiò il petto e tornò a ostentare un atteggiamento minaccioso.
Anthea proseguì lungo la strada, schivando detriti quando un edificio vicino esplose. Quattro velivoli spigolosi degli incursori piombarono su uno degli aerei dell'apparato difensivo di Centropolis appena decollato, cancel-landolo dal cielo. Una sfera di fuoco si sprigionò da un grattacielo sul lato opposto della strada, provocando una pioggia di frammenti di vetro e calcestruzzo. Anthea si riparò sotto il tendone verde e bianco di un bar deserto mentre i pezzi di vetro grandinavano, conficcandosi nel tessuto.
Proseguendo lungo la via, Anthea trovò un altro negozio di abbigliamen-to non ancora rivendicato da sciacalli macilenti. Aprì la porta con un calcio. Nella penombra dell'interno passò al setaccio gli espositori finché non trovò un abito resistente e scarpe comode. Provò anche un soprabito beige e prese una morbida coperta celeste per il bambino. Lo avvolse con cura per nascondere le sue antennine.
Adesso sembravano normali, anche se il resto del mondo era impazzito.
Anthea provò una tenue speranza, la speranza che lei e il bambino potessero davvero avere qualche probabilità di farcela. «Non ti deluderò, Davis»
mormorò.
Anthea sarebbe tornata molto volentieri all'appartamento nel palazzo e-legante di arenaria che aveva chiamato casa, ma dopo gli allarmi all'ospedale la polizia segreta doveva avere individuato l'indirizzo di Davis. Avevano il suo corpo, il suo portafoglio. Nonostante l'attacco in corso, gli spietati cacciatori di slan forse avevano mandato qualche agente a casa di Anthea.
Né lei né suo marito avevano mai fatto nulla che potesse minacciare la sicurezza della Terra, ma la polizia segreta non avrebbe chiesto spiegazioni o alibi. Se avessero trovato lei e il neonato slan, avrebbero semplicemente aperto il fuoco e considerato le due vittime l'ennesima vittoria.
Anthea continuò a cercare un posto dove lei e il piccino potessero rintanarsi e aspettare. La città stessa era in fiamme. Volute di fumo nero si alzavano come camini nel cielo. Le astronavi degli aggressori e i velivoli della difesa di Centropolis si affrontavano in duelli aerei.
Poi Anthea si imbatté in un edificio fatto di spessa pietra rinforzata che finora aveva resistito ai bombardamenti. Scolpite a chiare lettere sopra l'ingresso c'erano le confortanti parole: BIBLIOTECA PUBBLICA CENTRALE.
Anthea si precipitò nel grande edificio. A causa dell'attacco, tutti i fre-quentatori erano fuggiti, e la biblioteca sembrava un mausoleo vuoto. L'odore gradevole e familiare di libri la circondava. «Ehi, salve...» La sua vo-ce echeggiò tra le scaffalature.
Udendola, un uomo panciuto con una cravatta a righe blu uscì impettito da un ufficio e andò ad accoglierla, allargando le mani e sfoggiando un ampio sorriso. «Salve, salve! Benvenuta in biblioteca.»
«Siete aperti? Possiamo entrare?»
«Oh, signora, certo che siamo aperti. Non ha visto l'orario della biblioteca affisso alla porta?»
«Temevo che con le sirene degli allarmi aerei e tutto quanto...»
L'uomo fece un gesto liquidatorio. «Bah! L'orario della biblioteca è im-mutabile ed è osservato da molti anni. Non possiamo cambiare abitudini solo a causa di un disturbo esterno. C'è qualcosa in particolare che le occorre? Un qualche saggio, forse? Un buon romanzo?»
Anthea fu pervasa dal sollievo. «Un rifugio. Io e il mio bambino abbiamo bisogno di un posto dove... dove aspettare che finisca l'attacco. Non possiamo andare a casa.»
«Ah, naturalmente. Speravo che magari volesse dare un'occhiata agli scaffali, ma è certamente la benvenuta qui. Tutti sono benvenuti.»
Il bibliotecario aveva grandi occhi espressivi e guance cascanti che parevano valigie di pelle supplementare appese ai lati della faccia. I capelli lisci erano castani, ma alla radice per circa un centimetro erano bian
co gri-giastri, come se un tempo li avesse tinti regolarmente ma poi avesse smesso perché era uno sforzo eccessivo. Le lenti tonde facevano sembrare i suoi occhi più grandi.
«Io sono il signor Reynolds, il capo bibliotecario... a quanto pare l' unico bibliotecario che abbia dato la precedenza ai propri doveri mettendo da parte la paura.» Reynolds si grattò la pelle floscia di una guancia. «Non appena le bombe hanno cominciato a cadere, i miei colleghi si sono sentiti male e sono dovuti andare a casa. A quanto pare si tratta di un malanno chiamato "influenza da incursione aerea". Intendo documentarmi in merito quando avrò un momento libero.» Si spinse gli occhiali sul naso. «Venga nel settore centrale e nel mio ufficio amministrativo. È più sicuro.»
Raggiunsero una stanza piena di scaffali di vocabolari ed enciclopedie rilegate, volumi bene ordinati di documenti e trascrizioni. «Qui tengo la nostra sezione storica. La narrativa è al primo piano, i periodici e i posti individuali di consultazione sono al secondo piano. Posso rendermi utile in qualche modo? Dato che tutti i miei colleghi sono spariti, sono rimasto indietro col lavoro di sistemazione degli scaffali. Ma il pubblico ha sempre la precedenza.»
Anthea si sentiva stanchissima. «Vorrei solo una sedia e magari un bicchiere d'acqua.» Presto avrebbe dovuto allattare al seno il bambino. Non aveva nulla dell'occorrente, niente pannolini, niente poppatoio. "Non sono una madre molto preparata", si rese conto. Del resto, non si aspettava di essere braccata come un animale, né che delle navi nemiche bombardasse-ro la città.
Reynolds le mostrò una sedia comoda e, sollecito, le portò un bicchiere di carta dall'erogatore dell'acqua. Anthea ne bevve un sorso, grata. Fuori continuava a sentirsi il fragore delle bombe che esplodevano.